Cos’è l’eredità digitale?

Cos’è l’eredità digitale?

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Cos’è l’eredità digitale?

La gestione dei dati online in caso di decesso: a chi spetta e come si comporta la legislazione italiana?

Nulla da obiettare sulla praticità di avviare un bonifico muovendo qualche dito sulla tastiera – virtuale anche quella – del proprio smartphone. Per non parlare della comodità di conservare file importanti, di lavoro o personali, direttamente in rete. Tutto merito dell’innovazione in campo informatico, che ci ha permesso anche di leggere notizie online, commentarle e postarle sul nostro profilo personale.

Tutto all’avanguardia, se non fosse per un’unica piccola zona d’ombra: cosa accade a questi dati quando cessiamo di vivere? Restano semplicemente accantonati là dove li avevamo posti, rischiando di finire in mani poco fidate, oppure vengono distrutti? Se stai leggendo questo articolo, forse ti sei posto la stessa domanda oppure vuoi capire cos’è l’eredità digitale e come funzionano i testamenti all’epoca dei social network. Ti diciamo fin da subito che sei nel posto giusto per soddisfare ogni curiosità e che, di seguito, apprenderai tutto ciò che ruoto intorno alla nozione di digital legacy.

Cos’è l’eredità digitale

Nell’era delle identità digitali, del telelavoro e dell’home banking, la mole di informazioni che circola in rete si è estesa a dismisura. Ma questa innovazione non ha investito solo la sfera professionale e, anzi, ha preso decisamente le mosse da quella privata: corrispondenze elettroniche, profili attivi sui social network e file privati stipati in cloud virtuali, sono ormai pratiche condivise dai più. Ma che fine fanno queste informazioni quando muore la persona che ne era titolare?

Nell’immaginario collettivo sono ben noti gli attimi di tensione che precedono l’apertura della famigerata busta contenente il testamento di una persona cara scomparsa. Nella maggior parte dei casi, è il notaio a dar voce alle ultime volontà del defunto, alla presenza dei parenti più prossimi.

Cosa accadrebbe se ora provassimo a sostituire quel testamento scritto con il pc sul quale era solito trascorrere le sue giornate la persona deceduta? Rispondere a questa domanda non è facile, visto che in Italia, come del resto in molte altre parti del mondo, non esiste una legislazione specifica sull’eredità digitale. È questo il modo con cui ci si riferisce all’insieme dei dati digitali che una persona deceduta lascia online, ovvero in tutti quelle memorie di archiviazione di massa, quali hard disk, chiavi usb e dischi di varia natura.

Profili di Facebook e Instagram con post annessi, il conto online, le caselle di posta elettronica, gli spazi di archiviazione su cloud esterni, licenze, ma anche chat e file multimediali di qualsiasi tipo: tutto ciò rientra nell’enorme calderone di eredità digitale.

Le problematiche connesse all’eredità digitale

Per capire più da vicino il concetto di eredità digitale, passiamo da una trattazione tecnica a un esempio pratico relativo a un fatto realmente accaduto nel 2005. Si tratta, probabilmente, del caso che ha aperto la strada alle problematiche della digital legacy.

Siamo nel Michigan e la famiglia Ellsworth ha appena appreso che il figlio Justin, un marine ventenne attivo a Falluja, è caduto vittima di una imboscata. Ai genitori del ragazzo vengono restituiti gli effetti personali e, dopo qualche tempo, il padre di Justin si accorge che sul PC del figlio continuavano ad arrivare mail.

Ogni tentativo di accesso, però, è reso vano dalla password, non nota alla coppia, che avrebbe voluto ricostruire la vita del figlio basandosi sullo scambio di e-mail. I due, così, decidono di chiedere a Yahoo l’intera corrispondenza giacente nella casella di posta elettronica. Il provider, però, ha rifiutato la richiesta, appellandosi alle sue condizioni generali d’uso: queste, infatti, prevedono che, in caso di morte del titolare, l’intero contenuto della posta elettronica vada distrutto.

Il contenzioso Ellsworth-Yahoo ha fatto riflettere molte aziende informatiche sulla necessità di adottare politiche di riservatezza meno rigide, tant’è che molte di loro hanno previsto il cosiddetto mandato post-mortem. In questo modo, una persona di fiducia viene designata in modo ufficiale come erede digitale delle informazioni la cui titolarità spettava al soggetto defunto.

È il caso, per fare un esempio, di Facebook, che ha introdotto una nuova funzione di monitoraggio dell’account. Ciascuno, infatti, può scegliere in via preventiva cosa fare del proprio profilo in caso di morte. Le alternative sono due:

  1. eliminare completamente l’account;
  2. nominare un contatto erede: in questo caso, la persona nominata potrà gestire il profilo solo alla scomparsa del possessore originario. Ad ogni modo, si tratta di una gestione ristretta, visto che il contatto erede non potrà pubblicare nuovi post o leggere i messaggi privati.

Anche la Microsoft sembra si stia adeguando al concetto di mandato post-mortem. Ne è una spia il fatto che gli utenti che usano Outlook possono inviare proprio all’azienda di Bill Gates un modulo – disponibile sul sito stesso – nel quale si lasciano istruzioni specifiche sul da farsi in caso di decesso.

Dunque, per evitare che la famiglia si trovi coinvolta in controversie internazionali, è buona norma prendere seriamente in considerazione la questione dell’eredità digitale leggendo bene la privacy policy del sito a cui stiamo per iscriverci e mettendo nero su bianco le proprie volontà, anche in materia informatica.

Un’operazione, quest’ultima, che si rende necessaria soprattutto per chi possiede dei conti online. Consegnare le credenziali di accesso al proprio conto corrente a una persona di fiducia, infatti, non significa nominare un erede, visto che, in assenza di testamento scritto, sono i parenti più prossimi a poterne reclamare la giacenza.

Eleanore

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